20 novembre 2010

Autostrade del mare. Che fine hanno fatto?

di Francesco Loiacono
Ciampi invocò l’utilizzo del Tirreno e dell’Adriatico, per l’Ue sono una “best practice”, perché decongestionano il traffico stradale e abbattono la CO2. Ma il governo manda in soffitta l’ecobonus. Che fine farà il trasporto delle merci via nave?
Po, un fiume di traffico



"Non costruiamo altre grandi autostrade, limitiamoci a completare quelle che ci sono e sviluppiamo le due grandi “autostrade del mare” che abbiamo: il Tirreno e l’Adriatico. È assurdo che i tir debbano percorrere le strade e le ferrovie della penisola per andare da nord a sud invece di sfruttare questa via naturale". Parole sante per gli ambientalisti e per i camionisti che percorrono chilometri e chilometri sul caotico asfalto italiano, quelle che nel 2002 Carlo Azeglio Ciampi pronunciò a Livorno. Da allora però è stato fatto ben poco per togliere i mezzi pesanti dalla strada, con indubbio vantaggio per l’economia, l’ambiente e la sicurezza stradale. Utilizzando le autostrade del mare un tir può imbarcarsi a Genova e sbarcare a Palermo: risparmia carburante, ore di guida al conducente, rischio incidenti ed emissioni di gas di scarico. 

UN BUON AFFARE
«Le autostrade del mare offrono diversi vantaggi, innanzitutto il fattore tempo – spiega Giuseppina Della Pepa, segretario generale di Anita, l’associazione di Confindustria che riunisce le imprese dell’autotrasporto – Date e orari certi di partenza e arrivo permettono all’azienda una migliore gestione delle attività. E poi, cosa non certo meno importante, si evita la congestione stradale, e tutto ciò che ostacola la puntualità delle consegne: incidenti, deviazioni, lavori in corso. Inoltre la modalità via mare consente un risparmio sul gasolio, sui costi di manutenzione del veicolo e il riposo dell’autista». Mica poco. E poi una nave Ro-Ro (dall’inglese Roll-on/Roll-off, fornite di rampe di carico in grado di caricare e scaricare veicoli completi) imbarca 2.000 container, il trasporto di 2.000 tir. Che messi in fila fanno chilometri di coda in autostrada. Come conseguenza della diminuzione del traffico pesante, le stime parlano di una possibile riduzione del 50% della strage di oltre 8.000 morti l’anno sulle strade italiane. Insomma, togliere camion e Tir dall’asfalto è un affare per tutti.

“NON AFFONDATELO”
Nel 2004, sullo slancio delle parole di Ciampi, è nata la Rete autostrade mediterranee spa, il braccio operativo del ministero delle Infrasttrutture e dei Trasporti per promuovere un programma nazionale delle autostrade del mare nel Mediterraneo. Nel 2007 poi, per dare linfa al programma, è stato varato l’ecobonus, un rimborso del 30% sul costo del biglietto per gli autotrasportatori che scelgono le rotte marine. «Se un operatore sceglie il mare per la tratta Civitavecchia-Barcellona e ha pagato 300 euro, gliene restituiamo 90 – spiega il presidente della Ram, Tommaso Affinita – Con questo strumento centinaia di migliaia di tir l’anno sono stati tolti dalle strade del versante tirrenico». Funzionano bene i collegamenti fra Catania, Palermo, Genova e la rotta internazionale Civitavecchia-Barcellona. L’ecobonus ha riscosso un tale successo che l’Unione Europea l’ha riconosciuto come best practice da estendere agli altri paesi europei. Ma dopo soli tre anni, e dopo aver erogato fondi per oltre 200 milioni di euro, l’ecobonus va in soffitta. Per il 2010 non è stato rifinanziato, non v’è ombra di fondi neanche nella manovra varata a luglio da Tremonti. Così chi continua a scegliere il mare per trasportare le merci anticipa i soldi del biglietto con la speranza di un rifinanziamento dell’ecobonus. «Il governo si è impegnato a rifinanziarlo per il triennio 2010-2012 nella Finanziaria 2011, e non abbiamo nessun motivo dicredere il contrario. In mancanza dell’incentivo stradale è evidente che tale modalità non risulta più competitiva – commenta Giuseppina Della Pepa – Noi ne auspichiamo il ripristino per promuovere un trasporto merci sostenibile ed efficente».

VOCAZIONE TRADITA
Gli italiani, popolo di santi, poeti e navigatori, abitanti della penisola protesa nel Mediterraneo, di fronte al Canale di Suez da dove passano le portacontainer provenienti dalla Cina e dalle altre tigri asiatiche, volgono dunque le spalle al mare? Secondo i dati del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sembrerebbe di sì: l’88% delle merci viaggia su strada. L’Italia sconta la mancanza di infrastrutture, come dice il World economic forum, che posiziona l’Italia all’83esimo posto della classifica sulla qualità delle infrastrutture. Nei primi dieci posti ci sono ben sette paesi europei. Fra i primi quindici porti del Vecchio continente per movimentazione container solo due sono italiani: Gioia Tauro (sesto) e Genova (quindicesimo), con un incremento dal 2003 pari rispettivamente al 12,6 e al 10%. Cifre irrisorie se paragonate al 192,7% dello scalo di Ambarli (Turchia), al 118,2 di Zeebrugge (Belgio) o al 51 di Rotterdam (Olanda). Con tali carenze, difficilmente l’Italia sarà mai ponte fra l’Ue, i paesi nordafricani e le economie asiatiche, i cui carichi risparmierebbero cinque giorni di viaggio se usufruissero degli approdi italiani invece di quelli del Northern Range, l’insieme dei porti del Nord Europa.

BUCHI NELL’ACQUA
I bacini di Genova, Trieste e Venezia sono in vantaggio su tutti gli scali del Nord in termini di tem pi, anche per portare le merci nel cuore dell’Europa. Un vantaggio pure per l’ambiente: il trasporto di un container da Porto Said (Canale di Suez) a Parigi, se passa da Venezia e riprende il viaggio in treno costa 135 kg di CO2 in meno che se transitasse da Amburgo. Oltre ad aver viaggiato, fra nave e treno, cinque giorni e 4.000 km in meno. Ma l’alto Adriatico ha i fondali bassi, e non attira le grandi navi tipo Panamax o Superpanamax. Per superare questo limite il Cosvipo, consorzio per lo sviluppo del Polesine, ha lanciato un progetto di terminal merci offshore da realizzare a Porto Levante, a una decina di km dal Delta del Po. Una piattaforma artificiale per far attraccare le navi, che romperebbero il carico su delle chiatte per poi farlo risalire dai canali del Polesine fino all’interporto di Rovigo. Da qui le merci, secondo i promotori del progetto, ripartirebbero sui treni o continuerebbero sui canali del Po fino alla Pianura padana. Un progetto al quale ribatte il presidente dell’Autorità portuale di Venezia proponendo un’altra piattaforma al largo della bocca di porto di Malamocco, e mettendo a sistema Marghera, con il recupero di alcune aree dismesse, Chioggia e Porto Levante. «Quando si propongono progetti di questo tipo, bisogna considerare l’aumento eccessivo del traffico nel delicato ecosistema della Laguna», è il giudizio di Luigi Lazzaro di Legambiente Venezia. Stesso discorso per Genova. Un container proveniente da Porto Said e diretto a Monaco di Baviera via Genova impiega circa 3 giorni in meno che passando dal porto tedesco di Amburgo, facendo risparmiare all’ambiente l’emissione di 70 kg di CO2. «Il problema di Genova – dice Stefano Sarti di Legambiente Liguria – è la bassa percentuale di merci che dalle navi riprende il viaggio sui binari, stiamo intorno al 10-15%. Si dice che con il Terzo valico le cose migliorerebbero, ma è un’opera che in ogni caso sarebbe pronta fra 15 anni… Noi proponiamo l’ammodernamento degli attuali valichi, potenziando in tre o quattro anni la rete esistente col minor impatto possibile. Le autostrade del mare vanno bene conclude – ma pensiamo sempre a come le merci devono riprendere il viaggio una volta a terra». Già, se ritornano sull’asfalto, resta solo un buco nell’acqua.

(Pubblicato su Nuova Ecologia - settembre 2010)

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