31 gennaio 2012

Milleproroghe al Sistri

Il decreto di gennaio ha posticipato per l’ennesima volta l’avvio del sistema di tracciabilità dei rifiuti. Ora si parte il 30 giugno



è un destino segnato da proroghe, inchieste e critiche, quello del Sistri: il sistema di tracciabilità elettronica dei rifiuti voluto da Pecoraro Scanio quando era al vertice del ministero dell’Ambiente e presentato con orgoglio dal suo successore, Stefania Prestigiacomo, poco meno di un anno fa, quando si pensava di farlo partire a giugno 2011. Il Sistri, grazie al monitoraggio satellitare dei camion che trasportano i rifiuti, dovrà mandare in pensione i vecchi moduli cartacei Mud, ma l’obiettivo più ambizioso è quello di sconfiggere le ecomafie. Dalla sala operativa del Sistri, nella sede della Selex (azienda del gruppo Finmeccanica finita sotto la lente della magistratura proprio per l’affidamento del progetto), i carabinieri del Noe dovranno tenere sotto controllo gli oltre 85mila camion che trasportano quotidianamente rifiuti su e giù per la Penisola. Senza contare che la famosa “black box”, nella quale il trasportatore deve inserire una chiavetta usb con i dati del carico, è installata nel vano guida dei camion. I malintenzionati potrebbero perciò sostituire il rimorchio durante il viaggio senza che la scatola nera registri alcun cambiamento. 

A gennaio la partenza del Sistri ha subito l’ennesimo slittamento: il decreto milleproroghe ha spostato dal 2 aprile al 30 giugno la data d’avvio. Le ditte che dovranno utilizzare il sistema di tracciabilità hanno altri due mesi, quindi, per imparare come si utilizza correttamente il sistema. Ma nel frattempo i costi del sistema, più volte prorogato, cominciano a diventare pesanti. La Nuova Ecologia ha eseguito un test presso la Società recupero imballaggi (Sri) di Gricignano d’Aversa (Ce). La prova ha evidenziato una certa macchinosità delle operazioni, che sarà forse superata durante le prossime settimane, ma soprattutto problemi dovuti a recenti cambiamenti nelle procedure dei quali gli operatori, nonostante abbiano dedicato risorse e tempo alla formazione, non erano ancora a conoscenza. Insomma, le aziende durante gli ultimi due anni hanno impiegato nel passaggio al nuovo sistema risorse umane ed economiche: ogni black box, ad esempio, è collegata tramite schede sim al sistema Gprs e questo significa che da oltre un anno sono attivi contratti telefonici a spese delle aziende senza che il sistema sia ancora in funzione. «Capiamo questi disagi finché un sistema è in evoluzione – commenta il responsabile amministrativo della Sri Francesco Pascale, che ci ha accompagnato durante il test – purché si giunga presto a una concretezza delle procedure e alla certezza che il Sistri parta». Ma nonostante i soldi spesi questa certezza ancora non c’è. 
(Pubblicato su Nuova Ecologia)
 
IL VIDEO DEL TEST DI NUOVA ECOLOGIA AL SISTRI

 

La prova del Sistri

“La Nuova Ecologia” ha testato lo scorso 10 gennaio il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Ecco il video. La prova è avvenuta simulando il trasporto di un sacco di materiali plastici dalla Sri (il produttore) alla ditta di riciclo Erreplast (il destinatario). Come trasportatore è stata utilizzata l’azienda Td srl. Le tre imprese fanno parte di uno stesso gruppo aziendale a Gricignano d’Aversa (Ce). Ecco com’è andata...


5 gennaio 2012

Comincia la "fase due". E se la ricetta fosse green?

Il governo chiede sacrifici in nome della stabilità. Ma per uscire dalla crisi, in Italia e nel mondo, occorre puntare con decisione verso la green economy, rinunciare a opere inutili come il Ponte sullo Stretto e ridurre sprechi e spese militari. Se non ora, quando? / PDF
di Francesco Loiacono

La fase due è già cominciata. A dicembre Mario Monti ha incassato l’approvazione di una sofferta manovra che mette in sicurezza il bilancio dello Stato imponendo sacrifici ai cittadini. Ma su quali leve dovrà spingere nelle prossime settimane il governo, e il paese insieme a lui, per rilanciare l’economia, creare lavoro e restituire speranza ai giovani? Gli ambientalisti lo dicono da tempo e lo ripetono oggi al presidente del Consiglio: l’Italia può uscire dalla crisi puntando verso scelte a basso impatto ambientale e forte contenuto innovativo, dirottando gli investimenti dalle opere inutili verso la modernizzazione del sistema industriale. In una parola sulla green economy.

E’ il senso della proposta avanzata da Legambiente (vedi la scheda): ridurre il debito aiutando l’ambiente, tagliare gli sprechi di risorse economiche, abbattere gli sprechi dei beni comuni. «L’Italia può recuperare quasi 21,5 miliardi di euro incentivando la sostenibilità ambientale e disincentivando le pratiche più inquinanti – spiega Edoardo Zanchini, neo vice-presidente e responsabile Energia di Legambiente – Si tratta di risorse reperibili con rapidità, da utilizzare in parte per abbattere il debito e in parte per investimenti ad alto tasso di occupazione».

RICETTE GLOBALI
Ban Ki Moon, segretario generale Onu
Si tratta, insomma, di adottare anche in Italia ricette già vincenti altrove, certificate addirittura dall’Unep in un report dal titolo inequivocabile: Verso una green economy. Per lo sviluppo sostenibile e l’eradicazione della povertà uscito a novembre. Lo studio dimostra che investire il 2% del Pil mondiale in dieci settori chiave basterebbe a spingere l’economia verso i sistemi a minore emissione di carbonio. Basti dire che la Cina, nonostante sia fra i maggiori paesi inquinanti del mondo, rappresenta già oggi il più grande investitore in energie rinnovabili: il governo ha impegnato 468 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni a sostegno delle rinnovabili, di una migliore gestione dei rifiuti e delle tecnologie pulite. Pechino calcola che mentre potranno perdere il posto 800mila persone che lavorano nelle centrali a carbone, destinate a chiudere per mitigare i cambiamenti climatici, circa 2,5 milioni di posti di lavoro potrebbero essere creati solo nel settore dell’energia eolica entro il 2020.


TERRITORIO DI VALORE
«L’economia verde smentisce il mito che ci sia un trade-off fra economia e ambiente» ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, durante la presentazione del rapporto Unep proprio a Pechino. «Con intelligenti politiche pubbliche – ha aggiunto – i governi possono far crescere le loro economie, creare posti di lavoro e accelerare processi sociali mantenendo l’impronta ecologica dell’umanità nei limiti del pianeta». Paesi come Barbados, Cambogia, Indonesia, Corea del Sud e Sudafrica hanno già piani nazionali di green economy ispirati alle raccomandazioni del rapporto Unep. Altri ancora si stanno attrezzando per un futuro sostenibile. Nel Belpaese, nonostante la carenza di politiche pubbliche a sostegno dei settori verdi, c’è già un made in Italy che guarda ai settori low carbon. Formato dalle aziende, spesso legate al territorio e ai saperi delle piccole e medie imprese che sviluppano innovazione. La rivoluzione “verde”, come dimostra il rapporto Green Italy 2011 della fondazione Symbola e di Unioncamere, interessa già oggi il 23,9% delle imprese che tra il 2008 e il 2011 hanno investito in tecnologie e prodotti green, il 38% delle assunzioni dello scorso anno riguarda figure professionali legate alla sostenibilità e attraversa il paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale sono occupate equamente da cinque regioni settentrionali e cinque meridionali. «L’esperienza delle 370.000 imprese che dal 2008 a oggi hanno investito in prodotti e tecnologie green – sostiene Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – testimonia che la crisi si può vincere continuando a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità. Valori che consentono alle nostre imprese d’intercettare le preferenze dei consumatori nel mondo, di rendere i loro prodotti unici e non riproducibili». Non è un caso, dunque, che il “green Italy” venda di più anche all’estero: un terzo delle aziende che investono nella sostenibilità ambientale vanta una presenza sui mercati esteri (34,8%) quasi doppia rispetto a chi la ignora (18,6%). Fra i settori produttivi è la manifattura a guidare la svolta: il 28% delle imprese investono nel “verde” a fronte del 22% nel terziario. Oltre alla chimica e all’energia, spiccano la meccanica, i mezzi di trasporto, l’elettronica, la strumentazione di precisione, la lavorazione dei minerali non metalliferi. E ancora il conciario, il cartario, la ceramica, il legno e l’arredo. Senza dimenticare l’agricoltura: l’Italia è l’ottavo paese al mondo per superficie bio e il secondo in Ue.


OPERE SOFT
Un tessuto produttivo che trarrebbe vantaggio dalla crescita di nuove infrastrutture a basso impatto, come la banda larga, piuttosto che dalle vecchie e impattanti grandi opere. Il Ponte sullo Stretto e le autostrade nella pianura padana succhieranno dalle casse dello Stato oltre 12 miliardi di euro. «Il governo dovrebbe invece adottare una strategia di investimenti verso i nuovi poli che includono il concetto di limite nelle loro produzioni» suggerisce Aldo Bonomi,  sociologo e direttore dell’istituto di ricerca Aster. E la conferma che questa sia la via del futuro arriva anche dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori secondo il quale a un anno dal conseguimento del titolo di studio il 43% dei laureati delle triennali ambientali ha trovato un lavoro, dopo tre anni la percentuale sale al 53,4%. Positivo anche il dato sulla tipologia contrattuale ottenuta: più della metà degli occupati ha un lavoro dipendente regolare e l’inquadramento professionale raggiunto è in linea con la formazione conseguita. Parliamo di esperti energetici, economici finanziari in campo energetico ambientale, per la qualificazione delle imprese edili, consulenti per i materiali a basso impatto, tecnici per la programmazione e la pianificazione dei processi produttivi agricoli a filiera corta.

DECRETI ALL’ORIZZONTE
Eppure il nostro paese aspetta ancora misure convincenti che puntino definitivamente sull’economia verde, abbandonando per sempre incentivi a produzioni e lobby che inquinano e consumano i nostri beni comuni. Aspettando le prossime mosse dell’esecutivo di Monti. «Un primo banco di prova per il governo, una cartina di tornasole per giudicare se ha capito che bisogna puntare sui settori innovativi e verdi, sarà l’attuazione dei decreti attuativi sulle fonti rinnovabili – osserva il senatore Francesco Ferrante – I decreti dovevano essere emanati entro il 29 settembre 2010 ma Berlusconi non l’ha fatto. Vedremo se Monti lo farà, e bene». Intanto la crisi morde e il paese aspetta una ricetta per salvarsi.

pubblicato su Nuova Ecologia, gennaio 2012

La road map di Legambiente verso la green economy

Ridurre gli sprechi, prevenire il dissesto. E varare la fiscalità verde.
Il piano dell’associazione per uscire dalla crisi





VOCI IN ATTIVO

- Patrimoniale una tantum sulle auto di grossa cilindrata immatricolate nel periodo 2006-2012. Esclusi i veicoli a trazione elettrica, a gpl,e metano e quelli per i disabili. Tale contributo può essere destinato al sostegno del trasporto pubblico locale.
1 miliardi e 992 milioni

- Revisione della fiscalità ordinaria sulle auto. Si propone di cambiare il criterio con cui si calcola la tassa di possesso degli autoveicoli (il bollo) adottando un incremento o un decremento in funzione delle emissioni di CO2, incrociando potenza e uso. Si prevede una fascia di esenzione fino a 100 gr CO2/Km. Per mantenere inalterato il gettito del bollo basta aumentare il costo del carburante di 16 eurocent al litro, eliminando così la tassa di possesso.
500 milioni
- Cave. Sabbia e ghiaia estratte portano nelle casse delle Regioni circa 36 milioni di euro. Con canoni di concessione al 20% dei prezzi di vendita dei materiali scavati si arriverebbe a 267.695.719 euro.
231 milioni e 500.000

- Concessioni acque minerali. Istituire un canone di 10 euro a metro cubo imbottigliato per tutto il territorio nazionale.
115 milioni
- Rifiuti. Aumentare il costo dello smaltimento in discarica. Fissando la nuova ecotassa a 50 euro per tonnellata di rifiuti smaltiti, agli attuali tassi di smaltimento, nelle casse delle Regioni finirebbero 750 milioni di euro a fronte degli attuali 40.
710 milioni
- Unificare la tassazione delle rendite finanziarie al 23%, una soglia allineata con i grandi paesi europei e che non presenta rischi di fuga di capitali.
2 miliardi
- Sostegno ai treni dei pendolari attraverso l’introduzione di un’accisa di 3 centesimi per litro di benzina e gasolio per coprire i tagli subiti dal trasporto locale. Per alleviare gli automobilisti dai rincari il governo può agire sugli accordi di cartello fra petrolieri e distributori di benzina.
1 miliardo e 200 milioni

STOP AGLI SPRECHI
- Ritardo sugli obiettivi di Kyoto. Sulla base delle stime delle emissioni climalteranti nei primi tre anni di conteggio si è accumulato un debito di quasi 800 milioni di euro.
800 milioni
- Strade e ponti inutili e incentivi all’autotrasporto. La legge obiettivo 2002-2010 finanzia al 70% strade e autostrade e solo al 14 e 16% ferrovie e metropolitane. Rinunciare al Ponte sullo Stretto consentirebbe un risparmio di sei miliardi di euro. Le autostrade padane costano oltre 6 miliardi.
12 miliardi e 730 milioni
- Incentivi all’autotrasporto. Il trasporto su gomma gode di sconti su pedaggi, sgravi fiscali e detrazioni varie. 400 milioni
- Spese militari. Legambiente propone, fra le altre misure di contrazione della spesa bellica, di non firmare il contratto per la produzione di 131 cacciabombardieri.
791,5 milioni

TUTELA DEI BENI COMUNI

- Combattere il rischio idrogeologico, abbattere i costi dell’emergenza. Le recenti manovre hanno azzerato anche il miliardo messo a disposizione nel 2009 per la difesa del suolo. L’assenza di interventi di prevenzione costa morti e distruzioni molto care.

- Spreco di suolo. In Italia si perdono tra i 350 e i 500 Km2 di superficie naturale, rurale o agricola. Vanno ripensati i meccanismi che incentivano i Comuni a rilasciare concessioni edilizie.

- Spreco di legalità e civiltà, con ecomafie e abusivismo che procurano danno  all’economia sana. Quella sommersa vale il 17% della ricchezza prodotta in Italia. Il giro d’affari delle ecomafie nel 2010 è stato di 20 miliardi di euro. La proposta: mai più condoni, abbattere gli immobili abusivi, inserire nel codice penale i reati ambientali, contrastare evasione fiscale ed ecomafie.

NUOVE ENTRATE
6.748.500.000 Euro

SPRECHI DA TAGLIARE

14.691.500.000 Euro

TOTALE

21.440.000.000 Euro

LINK: Legambiente