5 gennaio 2012

Comincia la "fase due". E se la ricetta fosse green?

Il governo chiede sacrifici in nome della stabilità. Ma per uscire dalla crisi, in Italia e nel mondo, occorre puntare con decisione verso la green economy, rinunciare a opere inutili come il Ponte sullo Stretto e ridurre sprechi e spese militari. Se non ora, quando? / PDF
di Francesco Loiacono

La fase due è già cominciata. A dicembre Mario Monti ha incassato l’approvazione di una sofferta manovra che mette in sicurezza il bilancio dello Stato imponendo sacrifici ai cittadini. Ma su quali leve dovrà spingere nelle prossime settimane il governo, e il paese insieme a lui, per rilanciare l’economia, creare lavoro e restituire speranza ai giovani? Gli ambientalisti lo dicono da tempo e lo ripetono oggi al presidente del Consiglio: l’Italia può uscire dalla crisi puntando verso scelte a basso impatto ambientale e forte contenuto innovativo, dirottando gli investimenti dalle opere inutili verso la modernizzazione del sistema industriale. In una parola sulla green economy.

E’ il senso della proposta avanzata da Legambiente (vedi la scheda): ridurre il debito aiutando l’ambiente, tagliare gli sprechi di risorse economiche, abbattere gli sprechi dei beni comuni. «L’Italia può recuperare quasi 21,5 miliardi di euro incentivando la sostenibilità ambientale e disincentivando le pratiche più inquinanti – spiega Edoardo Zanchini, neo vice-presidente e responsabile Energia di Legambiente – Si tratta di risorse reperibili con rapidità, da utilizzare in parte per abbattere il debito e in parte per investimenti ad alto tasso di occupazione».

RICETTE GLOBALI
Ban Ki Moon, segretario generale Onu
Si tratta, insomma, di adottare anche in Italia ricette già vincenti altrove, certificate addirittura dall’Unep in un report dal titolo inequivocabile: Verso una green economy. Per lo sviluppo sostenibile e l’eradicazione della povertà uscito a novembre. Lo studio dimostra che investire il 2% del Pil mondiale in dieci settori chiave basterebbe a spingere l’economia verso i sistemi a minore emissione di carbonio. Basti dire che la Cina, nonostante sia fra i maggiori paesi inquinanti del mondo, rappresenta già oggi il più grande investitore in energie rinnovabili: il governo ha impegnato 468 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni a sostegno delle rinnovabili, di una migliore gestione dei rifiuti e delle tecnologie pulite. Pechino calcola che mentre potranno perdere il posto 800mila persone che lavorano nelle centrali a carbone, destinate a chiudere per mitigare i cambiamenti climatici, circa 2,5 milioni di posti di lavoro potrebbero essere creati solo nel settore dell’energia eolica entro il 2020.


TERRITORIO DI VALORE
«L’economia verde smentisce il mito che ci sia un trade-off fra economia e ambiente» ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, durante la presentazione del rapporto Unep proprio a Pechino. «Con intelligenti politiche pubbliche – ha aggiunto – i governi possono far crescere le loro economie, creare posti di lavoro e accelerare processi sociali mantenendo l’impronta ecologica dell’umanità nei limiti del pianeta». Paesi come Barbados, Cambogia, Indonesia, Corea del Sud e Sudafrica hanno già piani nazionali di green economy ispirati alle raccomandazioni del rapporto Unep. Altri ancora si stanno attrezzando per un futuro sostenibile. Nel Belpaese, nonostante la carenza di politiche pubbliche a sostegno dei settori verdi, c’è già un made in Italy che guarda ai settori low carbon. Formato dalle aziende, spesso legate al territorio e ai saperi delle piccole e medie imprese che sviluppano innovazione. La rivoluzione “verde”, come dimostra il rapporto Green Italy 2011 della fondazione Symbola e di Unioncamere, interessa già oggi il 23,9% delle imprese che tra il 2008 e il 2011 hanno investito in tecnologie e prodotti green, il 38% delle assunzioni dello scorso anno riguarda figure professionali legate alla sostenibilità e attraversa il paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale sono occupate equamente da cinque regioni settentrionali e cinque meridionali. «L’esperienza delle 370.000 imprese che dal 2008 a oggi hanno investito in prodotti e tecnologie green – sostiene Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – testimonia che la crisi si può vincere continuando a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità. Valori che consentono alle nostre imprese d’intercettare le preferenze dei consumatori nel mondo, di rendere i loro prodotti unici e non riproducibili». Non è un caso, dunque, che il “green Italy” venda di più anche all’estero: un terzo delle aziende che investono nella sostenibilità ambientale vanta una presenza sui mercati esteri (34,8%) quasi doppia rispetto a chi la ignora (18,6%). Fra i settori produttivi è la manifattura a guidare la svolta: il 28% delle imprese investono nel “verde” a fronte del 22% nel terziario. Oltre alla chimica e all’energia, spiccano la meccanica, i mezzi di trasporto, l’elettronica, la strumentazione di precisione, la lavorazione dei minerali non metalliferi. E ancora il conciario, il cartario, la ceramica, il legno e l’arredo. Senza dimenticare l’agricoltura: l’Italia è l’ottavo paese al mondo per superficie bio e il secondo in Ue.


OPERE SOFT
Un tessuto produttivo che trarrebbe vantaggio dalla crescita di nuove infrastrutture a basso impatto, come la banda larga, piuttosto che dalle vecchie e impattanti grandi opere. Il Ponte sullo Stretto e le autostrade nella pianura padana succhieranno dalle casse dello Stato oltre 12 miliardi di euro. «Il governo dovrebbe invece adottare una strategia di investimenti verso i nuovi poli che includono il concetto di limite nelle loro produzioni» suggerisce Aldo Bonomi,  sociologo e direttore dell’istituto di ricerca Aster. E la conferma che questa sia la via del futuro arriva anche dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori secondo il quale a un anno dal conseguimento del titolo di studio il 43% dei laureati delle triennali ambientali ha trovato un lavoro, dopo tre anni la percentuale sale al 53,4%. Positivo anche il dato sulla tipologia contrattuale ottenuta: più della metà degli occupati ha un lavoro dipendente regolare e l’inquadramento professionale raggiunto è in linea con la formazione conseguita. Parliamo di esperti energetici, economici finanziari in campo energetico ambientale, per la qualificazione delle imprese edili, consulenti per i materiali a basso impatto, tecnici per la programmazione e la pianificazione dei processi produttivi agricoli a filiera corta.

DECRETI ALL’ORIZZONTE
Eppure il nostro paese aspetta ancora misure convincenti che puntino definitivamente sull’economia verde, abbandonando per sempre incentivi a produzioni e lobby che inquinano e consumano i nostri beni comuni. Aspettando le prossime mosse dell’esecutivo di Monti. «Un primo banco di prova per il governo, una cartina di tornasole per giudicare se ha capito che bisogna puntare sui settori innovativi e verdi, sarà l’attuazione dei decreti attuativi sulle fonti rinnovabili – osserva il senatore Francesco Ferrante – I decreti dovevano essere emanati entro il 29 settembre 2010 ma Berlusconi non l’ha fatto. Vedremo se Monti lo farà, e bene». Intanto la crisi morde e il paese aspetta una ricetta per salvarsi.

pubblicato su Nuova Ecologia, gennaio 2012

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