6 dicembre 2011

Tanti auguri aree protette

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intervista a Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi
Il commento di Antonio Nicoletti (Legambiente)
"E' tempo di futuro"
Tre domande a:
Danilo Selvaggi (Lipu)
Franco Ferroni (Wwf)




PARCHI SUL FILO

La Legge quadro sulle aree protette compie vent’anni. Fra specie salvate e territori valorizzati. La scommessa di una nuova governance e le incertezze per il futuro
di Francesco Loiacono

Il 6 dicembre la Legge quadro sulle aree protette, la numero 394 del ’91, compie vent’anni. Un compleanno che giunge in una fase delicata come non mai, con il cambio di governo e la stagione di ristrettezze imposte dalla manovra economica.
I numeri di questi primi venti anni, comunque, sono certamente dalla parte della normativa andata in porto, al termine di un iter parlamentare iniziato nell’87, mentre era ministro Giorgio Ruffolo: ha fatto alzare la superficie di territorio protetto in Italia dal 3 all’11%, sono nati 18 nuovi parchi nazionali, per non parlare delle decine di parchi regionali e delle aree appartenenti alla rete Natura 2000 grazie ai quali la percentuale sale al 20. 
I risultati nella tutela della biodiversità non mancano: sulle nostre montagne si è rafforzata la presenza di specie in pericolo come il lupo, giunto fino ai Pirenei, lo stambecco e la lince. Sull’Appennino si sono salvati dall’estinzione il camoscio, l’orso bruno e, sul fronte della flora, il pino loricato. Un successo che ha visto protagonisti i buoni amministratori e anche i cittadini visto che la legge attribuisce un ruolo ai comuni nella gestione e favorisce la condivisione delle responsabilità con le comunità locali. 
In questo “ventennio verde” però non mancano le ombre. «Sebbene fossero previsti dalla legge, mancano ancora la Carta della natura e le Linee fondamentali per l’assetto del territorio» si legge nel documento “Un nuovo futuro per i parchi, la biodiversità e le politiche di sistema” presentato da Legambiente durante il convegno tenuto su questo tema poche settimane fa al Parco dell’Appia antica. 
Ma è la burocrazia ad aver indebolito la 394: i meccanismi di nomine dei presidenti e dei direttori sono stati farraginosi creando molte situazioni di stallo risolte dalla nomina dei commissari. Legge, insomma, che dopo vent’anni ha bisogno di un tagliando. Un lavoro nel quale è impegnata la Commissione ambiente al Senato che ha aperto una discussione sulla modifica della legge che suscita interesse e confronto nel mondo ambientalista. «Se non ci saranno traumi e la legislatura si concluderà nei suoi tempi naturali, possiamo portare in porto il disegno di legge», confida il senatore Antonio D’Alì, presidente della commissione Ambiente. 
Dunque c’è da costruire il futuro delle aree protette. E se i soldi per le spese fisse sono stati già assegnati per il 2012, con 61 milioni previsti dalla legge di bilancio, «per le aree marine protette è prevista la riduzione della metà dei fondi disponibili – lamenta Stefano Donati, direttore dell’amp delle Egadi – In questa maniera si dichiara la fine di una strategia nazionale per la tutela del mare». «Ridurre la spesa pubblica è un alibi – denuncia il senatore Roberto Della Seta – perché l’ultima legge di stabilità ha destinato 400 milioni in più all’autotrasporto, soldi con cui i parchi vivrebbero per sei o sette anni. La spesa peri cacciabombardieri manterrebbe in vita le aree protette per decenni». 
La scarsità di risorse per gli investimenti è una condizione alla quale i parchi sono abituati da anni. «Per gli investimenti non c’è nulla, non da oggi ma da quando è stato soppresso il programma triennale. Quindi sta alla capacità dei parchi trovare i finanziamenti – dice Nicola Cimini, direttore del Parco della Majella – Per i prossimi due o tre anni non avremo problemi perché partecipiamo a bandi europei e di privati, come le Fondazioni». 
Tra le forme di autofinanziamento si discute inoltre delle royalty: un modo per “monetizzare” beni e servizi come acqua, ossigeno e biodiversità che le risero ve naturali garantiscono. In vista di una nuova governance che possa restituire ai parchi il ruolo che gli spetta nell’economia di un paese che ospita un terzo delle specie animali e metà di quelle vegetali del Vecchio continente. 

(Pubblicato su Nuova Ecologia - dicembre 2011) 

 
I NUMERI

23 Parchi nazionali

1.391.746ha a terra e71.812 ha a mare

27 Aree marine protette
222.442,53 ha a mare
652 km di costa

147 Riserve naturali statali
122.775 ha a terra

134 Parchi regionali
1.294.655,87 ha a terra

3 Altre aree naturali protette nazionali
2.557.477 ha a mare
5,7 km di costa

365 Riserve naturali regionali
230.240,21 ha a terra
1.284 ha a mare

171 Altre aree naturali protette regionali
50.237,72 ha a terra
18,40 ha a mare

870 TOTALE AREE NATURALI PROTETTE
3.089.655,71 ha a terra
2.853.033 ha a mare
658,02 km di costa

La legge quadro sulle aree protette compie 20 anni. Tre domande a...

FRANCO FERRONI (WWF Italia)

Quali sono stati i pregi della 394?
In questi 20 anni l’Italia è stato il paese europeo che ha istituito il maggior numero di aree protette. È stato così arginato il consumo di suolo, e il divieto di caccia e alcuni progetti hanno messo in sicurezza specie a rischio come il lupo e il camoscio appenninico. Inoltre i parchi hanno offerto occupazione verde a giovani qualificati e promosso nuova economia.
Franco Ferroni, Wwf Italia

Quali i difetti?
Non sono mancati problemi legati alla burocrazia, ai tempi lunghi per l’approvazione di atti e strumenti di gestione, all’occupazione politica di ruoli e poltrone. Per mancanza di obiettivi dichiarati e relativi indicatori nella gestione resta piena d’incognite la sfida della qualità e dell’efficacia di gestione rispetto alla missione dei parchi, che resta la conservazione della biodiversità.

Che cosa cambiare della legge?
Poco o nulla dell’originaria impostazione (tra l’altro già modificata nel 1998 con la Legge n.426). In Parlamento c’è chi propone una riforma della 394 che il Wwf valuta non opportuna, pericolosa e fuorviante per i suoi contenuti rispetto ad altre priorità. Serve piuttosto dare un forte impulso alla gestione delle aree protette, “fare sistema” e cogliere le uniche opportunità che nell’immediato futuro saranno offerte dai fondi dell’Unione Europea.

Sammuri: "Con la 394 è cresciuta l’Italia protetta"

Intervista a Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi 

Giampiero Sammuri (Federparchi)
foto di Francesco Loiacono
La legge 394 ha fatto crescere il territorio protetto in Italia. Ma adesso per superare le difficoltà economiche bisogna trovare nuove forme di finanziamento, e puntare sulla qualità di gestione delle aree protette. Ne parliamo con il presidente di Federparchi Giampiero Sammuri, che fa un bilancio e auspica un futuro di qualità delle aree protette italiane.



Qual è il bilancio di questi primi 20 anni della 394?È positivo nell’applicazione della legge. Questa ha consentito la nascita di tantissime aree protette in Italia. Naturalmente come succede quando una legge dura venti anni ci sono state anche molte ombre oltre a numerose luci, ed è per questo che è necessario fare, come qualcuno l’ha chiamato, un tagliando alla legge.


Che cosa non ha funzionato bene?
Sicuramente la macchinosità della gestione, nel senso che c’è un po’ troppa burocrazia per approvare il piano del parco. Il piano di sviluppo economico e sociale si è rilevato inutile, i suoi contenuti possono essere inseriti nel piano del parco. Questa macchinosità ha pesato sul piano della governance. 


Pare sempre più probabile un futuro in cui ai parchi verranno destinate dallo Stato poche risorse. Come si può rimediare?Purtroppo ci avviciniamo a una fase difficile per le finanze pubbliche. Quindi trovare dei finanziamenti è importante. Sia chiaro che devono essere aggiuntivi non certo sostitutivi di quelli pubblici. Le royalties possono finanziare le attività che si svolgono nei parchi.


Può fare un esempio?
In molti parchi italiani ci sono dei bacini idroelettrici, questi producono energia e numerose risorse ma i parchi non ne traggono alcun beneficio. Quindi una royalty da queste attività a favore dei parchi mi sembra una cosa più che giusta. Si può fare anche per l’acqua idropotabile, quella minerale e così via.
 

Pensa che ci sia bisogno di altre aree protette?
Sinceramente non credo, sono ormai quasi il 20% del territorio nazionale se conteggiamo anche il sistema delle aree Natura 2000. Penso che si debba lavorare di più sulla qualità di gestione delle aree protette.  

 

La legge quadro sulle aree protette compie 20 anni. Tre domande a...

DANILO SELVAGGI (Lipu)


Quali sono stati i pregi della 394?
Danilo Selvaggi (Lipu)
Ha preservato una parte consistente del territorio italiano dalle ferite che, altrove, le mille forme della speculazione gli hanno inflitto. Senza le aree protette e le battaglie per la natura, l’Italia sarebbe oggi un enorme abuso edilizio, un gigantesco ecomostro. Inoltre, la 394 ha aperto un grande capitolo di conservazione della natura di cui eravamo privi.
Quali i difetti?
Le difficoltà e i limiti non mancano. Quanta conservazione si è fatta davvero e quanta se ne potrebbe fare, di più e meglio? Quanto, le aree protette, hanno ceduto al ricatto della peggiore politica? Ancora, quanto serve, sotto il profilo legislativo, in termini di integrazione e armonizzazione delle norme naturalistiche? Si pensi, ad esempio, al rapporto ancora complesso tra i parchi e la rete Natura 2000.
Che cosa cambiare della legge?
Più che cambiare, occorrono soprattutto un coraggio e una dignità ritrovati: saper dire che i parchi sono importantissimi, che una nuova speranza per le nostre vite, economie, comunità, passa anche dall’occasione di una società armonica con la natura. Poi, risulterebbe utile migliorare la programmazione conservazionistica e scientifica, e creare nuovi motivi di attrazione verso le comunità locali.

È tempo di futuro


di Antonio Nicoletti*

Nel dare un giudizio sui vent’anni della 394/91 è giusto sottolineare l’innovazione che ha apportato nella gestione delle aree protette. È stato uno strumento fondamentale per realizzare un sistema diffuso di aree per la tutela della biodiversità, condiviso, partecipato e federalista. Grazie alla legge si è passati dai 5 parchi del ‘91 ai 23 di oggi, dal 3 all’11% di territorio protetto. Nei suoi contenuti fondamentali è stata attuata, soprattutto rispetto ai principi e al regime giuridico delle aree protette, alla realizzazione del sistema nazionale e al modello autonomo dell’ente parco, alla co-presenza nel consiglio direttivo di rappresentanti della politica, degli interessi diffusi e della ricerca, nell’aver previsto incentivi a favore dei territori e aver attribuito all’ente parco poteri pianificatori sovraordinati.

Antonio Nicoletti, Legambiente
Ma dopo vent’anni è tempo di riflettere su come la “manutenzione” della normativa può rilanciare l’esperienza dei parchi e sulle possibilità che il rinnovamento del sistema può offrire contro la perdita della biodiversità, e per incentivare lo sviluppo sostenibile. Esistono diversi punti che hanno bisogno di essere migliorati perché il sistema di tutela risulti davvero efficace e integrato. In particolare necessita di un adeguamento alle esigenze delle direttive europee successive al ‘91, che la gestione delle aree marine sia omologata a quella dei parchi, di una semplificazione della governance degli enti parco che ne riduca i componenti e li sburocratizzi. Bisogna inoltre migliorare il ruolo della comunità del parco e il rapporto fra cittadini ed enti parco, potenziando trasparenza e partecipazione. La modifica sarebbe anche un’opportunità per far emergere i parchi dal cono d’ombra in cui sono relegati da oltre un decennio. Va contenuta l’invadenza della politica nella scelta dei presidenti e il ricorso ai commissariamenti, recuperato un rapporto di collaborazione con le Regioni nella pianificazione per far diventare i parchi laboratori di green economy.

Le aree protette devono incidere di più nelle scelte per mitigare i cambiamenti climatici: per questo deve aumentare la percentuale di territorio tutelato, come da accordi già presi in sede internazionale (entro il 2020 il 17% a terra, 10 mare e coste), investire per evitare il degrado del territorio e recuperare un ruolo nelle strategie euromediterranee di conservazione. L’anniversario, insomma, deve essere l’occasione per immaginare un nuovo futuro per i parchi, di cui abbiamo ancora bisogno.

* responsabile aree protette di Legambiente