15 agosto 2012

Mare, dove l'acqua è più blu


Riscoprire le tecniche della pesca tradizionale, valorizzare gli ambienti dunali. Abbattere le costruzioni abusive. Storie di un altro mare



Pesca selvaggia, trasporti pericolosi, trivellazioni, cattiva depurazione, erosione costiera, cementificazione, riscaldamento globale. Sono i sette “vizi capitali” che affliggono i mari del Belpaese, fenomeni che derivano per intero dalle attività umane. Proprio all’inizio di un’estate inevitabilmente segnata dalla memoria di una tragedia, quella della Concordia, le cui conseguenze non sono ancora state chiarite fino in fondo. Ma esiste una maniera per cambiare rotta nella tutela delle acque costiere? Le esperienze che abbiamo raccolto lo dimostrano: «Lungo lo Stivale non mancano le buone pratiche di gestione degli ecosistemi marini, dal turismo a impatto zero alla pesca sostenibile, dalla valorizzazione della biodiersità alla riqualificazione di aree sottratte al cemento. Quello che manca è un progetto complessivo che le adotti su larga scala e le trasformi in politiche» spiega Sebastiano Venneri, responsabile mare di Legambiente. Vediamo allora in che modo amministratori lungimiranti, gestori di aree protette e gruppi di volontari stanno portando in salvo il nostro mare.


www.parcodunecostiere.org
RETI DI BIODIVERSITA'
Nel Parco regionale delle dune costiere da Torre Canne a Torre San Leonardo, in provincia di Brindisi, un progetto di conservazione crea sviluppo e recupera le antiche tecniche di pesca. Qui, negli spazi retrodunali della zona umida del fiume Morelli, è stata infatti reintrodotta l’acquacoltura con metodo interamente biologico. «Per avere una protezione maggiore dell’ambiente – spiega Maria Franca Mangano, biologa marina che lavora al progetto – è stato incentivato il sistema di pesca tradizionale tipica della zona, dandola in gestione ai discendenti della famiglia che la praticava vent’anni fa». Come? Innanzitutto i capitoni, le femmine di anguilla gravide e pronte a partire per il mar dei Sargassi per riprodursi, una volta pescati vengono rilasciati. Poi gli animali si nutrono di ciò che offre l’ambiente e non c’è inserimento di nuovi soggetti provenienti da altri ambienti. Infine, l’ultima chiusa collegata al mare è aperta, lasciando liberi gli animali di entrare e uscire. In pratica più che un allevamento si tratta di un prelievo programmato di anguille e cefali, effettuato solo a dicembre facendo ricorso all’impiego di nasse e tramagli. La pesca tradizionale, quindi, come rimedio al progressivo impoverimento degli stock ittici e strumento di conservazione degli ecosistemi marini, strategia presentata il 23 giugno scorso alla Fiera internazionale della pesca in programma ad Ancona durante il convegno “Un’altra pesca è possibile. Buone pratiche di pesca costiera artigianale, trasformazione del prodotto e commercializzazione”, a cura di Legambiente, Ocean2012, Wwf.



SCHELETRO SPARITO
In Liguria, invece, una collina sventrata dal cemento diventa un sentiero aperto a tutti. A Palmaria, infatti, lo “scheletrone”, l’ecomostro che per quarant’anni ha deturpato il colpo d’occhio da Porto Venere, è stato abbattuto tre anni fa e il bello è che al suo posto non è stato realizzato niente. C’è solo un percorso pedonale “adottato” dagli studenti del plesso scolastico che ora lo abbelliranno con mattonelle di ceramica. «Il taglio del nastro del percorso rappresenta la rivincita della natura – commenta il sindaco di Porto Venere Massimo Nardini – Stiamo lavorando affinché Palmaria diventi un piccolo modello di sviluppo sostenibile». Un cambio di rotta notevole, che premia anche chi si è battuto per anni affinché venisse rimosso il residence. «La vicenda dello scheletrone dell’isola di Palmaria – spiega Paolo Varrella, presidente del locale circolo di Legambiente che ha portato avanti una battaglia ventennale – è il frutto della pessima pianificazione del territorio, visto che solo gli ultimi due piani erano abusivi ma il resto dell’edificio era stato in un primo tempo autorizzato. Ciò dimostra quanto siano superficiali e spesso frutto di logiche clientelari gli strumenti urbanistici, a maggior ragione in aree così sensibili. Per fortuna – conclude Varrella – adesso lo spazio è pubblico, aperto a tutti e fruibile anche dalle persone diversamente abili».

A CINQUE VELE
Il Comune di Melendugno (Le), dopo decenni di edilizia pesante sulla zona costiera, ha adottato politiche di recupero del patrimonio marino, di quello storico con interventi di salvaguardia dell’area archeologica di Roca Vecchia, della Grotta della Poesia e di quella di San Cristoforo. «Fiore all’occhiello di questa inversione di tendenza – commenta Maurizio Cisternino, assessore all’Ambiente di Melendugno – è il recupero del canale Brunese e la collaborazione con l’Acquedotto Pugliese e la Regione Puglia per il recupero delle acque reflue in bacini fitodepurativi». Non a caso sul litorale di Melendugno nidifica la specie di tartaruga Caretta caretta e il comune salentino ha conquistato, quest’anno per la prima volta, le Cinque vele che Legambiente e Touring club assegnano alle località costiere amiche dell’ambiente. Fra queste, molte si trovano in Sardegna, dove le amministrazioni comunali sono sempre più attente a chiudere il ciclo dei rifiuti e delle acque reflue. Come a Villasimius (Ca), altro comune sardo “a cinque vele”, dove si va oltre la protezione del sistema dunale raggiungendo percentuali altissime di differenziata e la gestione delle acque reflue prevede anche il riutilizzo.

DUNE PREZIOSE
In Campania, un gruppo di volontari è impegnato nell’Oasi dunale diPaestum per contrastare l’erosione costiera ed evitare l’installazione di dispendiosi “pennelli” a mare, per bloccare l’abusivismo e restituire lo sbocco sul Tirreno alla celebre area archeologica. «Dopo la Seconda guerra mondiale e la bonifica della piana – racconta Lucio Capo, direttore dell’Oasi dunale – è stata creata una pineta per proteggere i terreni agricoli dalla salsedine marina, perdendo così il rapporto della città con il mare. L’Oasi vuol recuperare questo legame e creare un parco archeologico e naturale diffuso. Non è un caso se negli ultimi dieci anni la duna è ricresciuta di 3-4 metri e l’erosione costiera è stata bloccata, mentre a 500 metri da qui, dove c’è il cemento, l’erosione avanza». Il chilometro di dune protetto dai volontari è l’unico dei 10 ancora rimasti in Campania, un tempo erano 100, gli altri nove sono sottoposti ad attacchi continui: lidi e cemento. «Ci troviamo in un contesto molto antropizzato con un livello di abusivismo elevato – spiega Lucio Capo – Il 10% dell’area vincolata è stato cementificato nonostante ci sia il divieto di costruire a meno di un chilometro dalle mura dell’antica Paestum. Ecco perché se non ci fossimo stati noi – chiude con orgoglio Capo – la duna sarebbe scomparsa».

MODELLO TAVOLARA
Più protezione, più pesci, più pescato, più turismo per le immersioni subascquee, e dunque più soldi. La ricetta è semplice e l’area marina protetta di Tavolara Punta Coda Cavallo l’ha saputa preparare bene negli ultimi dieci anni. Intorno all’isola sarda, l’efficiente protezione della zona A, quella a protezione integrale, ha favorito il cosiddetto effetto riserva: gli stock ittici si sono rigenerati e pian piano hanno “traboccato” nelle zone limitrofe, dove sono consentite le immersioni subacque. «Intorno a Tavolara i subacquei fanno delle immersioni magnifiche, trovano cernie, saraghi, corvine e dentici – racconta Augusto Navone, direttore della riserva marina – E infatti ne arrivano tantissimi. Il turismo subacqueo da noi non risente della crisi. Solo nel 2011 il nostro territorio ha avuto 20 milioni di euro di indotto, dati certificati da un rigoroso studio, che sono frutto di 16.500 immersioni. Basti pensare che nel 1997 se ne facevano solo 2.500». Uno sviluppo del turismo che non reca danno all’ambiente. «Abbiamo un sistema di monitoraggio continuo sui siti d’immersione e tutti gli indicatori dicono che non risentono della fruizione – riprende il direttore Navone – D’altronde, abbiamo creato molto consenso fra gli operatori del settore intorno ai vincoli che ci siamo dati: mai più di cinque subacquei per guida e più di due imbarcazioni per punto d’immersione». L’ambiente marino quindi non viene sforzato, i pesci si rigenerano, i subacquei apprezzano e i pescatori gongolano. «Qui hanno dei coefficienti di resa fra i migliori di Italia, 23 chilogrammi per chilometro di attrezzo. Però – ricorda il direttore dell’area marina protetta – sono ammessi solo pescatori artigianali e professionisti residenti nei comuni consorziati, e operano con attrezzi selettivi che non fanno un gran prelievo». Altro che pesca selvaggia.



di Francesco Loiacono - Pubblicato su Nuova Ecologia, luglio-agosto 2012


#Ilva, immagini da Taranto (3 agosto 2012)

#Ilva, immagini dalla manifestazione dei sindacati del 3 agosto 2012. Il comitato cittadini e operai liberi e pensanti ha fatto irruzione in piazza della Vittoria per leggere il proprio comunicato. I sindacati hanno sospeso il comizio, ricominciato dopo l'uscita di scena del comitato.


operai in corteo / foto di Francesco Loiacono

il palco dei sindacati / foto di Francesco Loiacono

striscione del comitato cittadini e operai liberi e pensanti

l'irruzione del comitato sotto al palco dei sindacati: "la rovina dell'Italia siete voi"

il comitato raggiunge il palco
il comizio del comitato in piazza della Vittoria: oggi è l’anniversario della strage di Bologna, anche a Taranto c’è una strage in atto

la polizia presidia la piazza a protezione del palco mentre il comitato abbandona la piazza

il comizio dei sindacati. Camusso (Cgil) : gli investimenti che l’Ilva deve fare possono essere fatti a impianto aperto

31 gennaio 2012

Milleproroghe al Sistri

Il decreto di gennaio ha posticipato per l’ennesima volta l’avvio del sistema di tracciabilità dei rifiuti. Ora si parte il 30 giugno



è un destino segnato da proroghe, inchieste e critiche, quello del Sistri: il sistema di tracciabilità elettronica dei rifiuti voluto da Pecoraro Scanio quando era al vertice del ministero dell’Ambiente e presentato con orgoglio dal suo successore, Stefania Prestigiacomo, poco meno di un anno fa, quando si pensava di farlo partire a giugno 2011. Il Sistri, grazie al monitoraggio satellitare dei camion che trasportano i rifiuti, dovrà mandare in pensione i vecchi moduli cartacei Mud, ma l’obiettivo più ambizioso è quello di sconfiggere le ecomafie. Dalla sala operativa del Sistri, nella sede della Selex (azienda del gruppo Finmeccanica finita sotto la lente della magistratura proprio per l’affidamento del progetto), i carabinieri del Noe dovranno tenere sotto controllo gli oltre 85mila camion che trasportano quotidianamente rifiuti su e giù per la Penisola. Senza contare che la famosa “black box”, nella quale il trasportatore deve inserire una chiavetta usb con i dati del carico, è installata nel vano guida dei camion. I malintenzionati potrebbero perciò sostituire il rimorchio durante il viaggio senza che la scatola nera registri alcun cambiamento. 

A gennaio la partenza del Sistri ha subito l’ennesimo slittamento: il decreto milleproroghe ha spostato dal 2 aprile al 30 giugno la data d’avvio. Le ditte che dovranno utilizzare il sistema di tracciabilità hanno altri due mesi, quindi, per imparare come si utilizza correttamente il sistema. Ma nel frattempo i costi del sistema, più volte prorogato, cominciano a diventare pesanti. La Nuova Ecologia ha eseguito un test presso la Società recupero imballaggi (Sri) di Gricignano d’Aversa (Ce). La prova ha evidenziato una certa macchinosità delle operazioni, che sarà forse superata durante le prossime settimane, ma soprattutto problemi dovuti a recenti cambiamenti nelle procedure dei quali gli operatori, nonostante abbiano dedicato risorse e tempo alla formazione, non erano ancora a conoscenza. Insomma, le aziende durante gli ultimi due anni hanno impiegato nel passaggio al nuovo sistema risorse umane ed economiche: ogni black box, ad esempio, è collegata tramite schede sim al sistema Gprs e questo significa che da oltre un anno sono attivi contratti telefonici a spese delle aziende senza che il sistema sia ancora in funzione. «Capiamo questi disagi finché un sistema è in evoluzione – commenta il responsabile amministrativo della Sri Francesco Pascale, che ci ha accompagnato durante il test – purché si giunga presto a una concretezza delle procedure e alla certezza che il Sistri parta». Ma nonostante i soldi spesi questa certezza ancora non c’è. 
(Pubblicato su Nuova Ecologia)
 
IL VIDEO DEL TEST DI NUOVA ECOLOGIA AL SISTRI

 

La prova del Sistri

“La Nuova Ecologia” ha testato lo scorso 10 gennaio il nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Ecco il video. La prova è avvenuta simulando il trasporto di un sacco di materiali plastici dalla Sri (il produttore) alla ditta di riciclo Erreplast (il destinatario). Come trasportatore è stata utilizzata l’azienda Td srl. Le tre imprese fanno parte di uno stesso gruppo aziendale a Gricignano d’Aversa (Ce). Ecco com’è andata...


5 gennaio 2012

Comincia la "fase due". E se la ricetta fosse green?

Il governo chiede sacrifici in nome della stabilità. Ma per uscire dalla crisi, in Italia e nel mondo, occorre puntare con decisione verso la green economy, rinunciare a opere inutili come il Ponte sullo Stretto e ridurre sprechi e spese militari. Se non ora, quando? / PDF
di Francesco Loiacono

La fase due è già cominciata. A dicembre Mario Monti ha incassato l’approvazione di una sofferta manovra che mette in sicurezza il bilancio dello Stato imponendo sacrifici ai cittadini. Ma su quali leve dovrà spingere nelle prossime settimane il governo, e il paese insieme a lui, per rilanciare l’economia, creare lavoro e restituire speranza ai giovani? Gli ambientalisti lo dicono da tempo e lo ripetono oggi al presidente del Consiglio: l’Italia può uscire dalla crisi puntando verso scelte a basso impatto ambientale e forte contenuto innovativo, dirottando gli investimenti dalle opere inutili verso la modernizzazione del sistema industriale. In una parola sulla green economy.

E’ il senso della proposta avanzata da Legambiente (vedi la scheda): ridurre il debito aiutando l’ambiente, tagliare gli sprechi di risorse economiche, abbattere gli sprechi dei beni comuni. «L’Italia può recuperare quasi 21,5 miliardi di euro incentivando la sostenibilità ambientale e disincentivando le pratiche più inquinanti – spiega Edoardo Zanchini, neo vice-presidente e responsabile Energia di Legambiente – Si tratta di risorse reperibili con rapidità, da utilizzare in parte per abbattere il debito e in parte per investimenti ad alto tasso di occupazione».

RICETTE GLOBALI
Ban Ki Moon, segretario generale Onu
Si tratta, insomma, di adottare anche in Italia ricette già vincenti altrove, certificate addirittura dall’Unep in un report dal titolo inequivocabile: Verso una green economy. Per lo sviluppo sostenibile e l’eradicazione della povertà uscito a novembre. Lo studio dimostra che investire il 2% del Pil mondiale in dieci settori chiave basterebbe a spingere l’economia verso i sistemi a minore emissione di carbonio. Basti dire che la Cina, nonostante sia fra i maggiori paesi inquinanti del mondo, rappresenta già oggi il più grande investitore in energie rinnovabili: il governo ha impegnato 468 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni a sostegno delle rinnovabili, di una migliore gestione dei rifiuti e delle tecnologie pulite. Pechino calcola che mentre potranno perdere il posto 800mila persone che lavorano nelle centrali a carbone, destinate a chiudere per mitigare i cambiamenti climatici, circa 2,5 milioni di posti di lavoro potrebbero essere creati solo nel settore dell’energia eolica entro il 2020.


TERRITORIO DI VALORE
«L’economia verde smentisce il mito che ci sia un trade-off fra economia e ambiente» ha detto il segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, durante la presentazione del rapporto Unep proprio a Pechino. «Con intelligenti politiche pubbliche – ha aggiunto – i governi possono far crescere le loro economie, creare posti di lavoro e accelerare processi sociali mantenendo l’impronta ecologica dell’umanità nei limiti del pianeta». Paesi come Barbados, Cambogia, Indonesia, Corea del Sud e Sudafrica hanno già piani nazionali di green economy ispirati alle raccomandazioni del rapporto Unep. Altri ancora si stanno attrezzando per un futuro sostenibile. Nel Belpaese, nonostante la carenza di politiche pubbliche a sostegno dei settori verdi, c’è già un made in Italy che guarda ai settori low carbon. Formato dalle aziende, spesso legate al territorio e ai saperi delle piccole e medie imprese che sviluppano innovazione. La rivoluzione “verde”, come dimostra il rapporto Green Italy 2011 della fondazione Symbola e di Unioncamere, interessa già oggi il 23,9% delle imprese che tra il 2008 e il 2011 hanno investito in tecnologie e prodotti green, il 38% delle assunzioni dello scorso anno riguarda figure professionali legate alla sostenibilità e attraversa il paese da Nord a Sud, tanto che le prime dieci posizioni della classifica regionale sono occupate equamente da cinque regioni settentrionali e cinque meridionali. «L’esperienza delle 370.000 imprese che dal 2008 a oggi hanno investito in prodotti e tecnologie green – sostiene Claudio Gagliardi, segretario generale di Unioncamere – testimonia che la crisi si può vincere continuando a puntare su innovazione, qualità e sostenibilità. Valori che consentono alle nostre imprese d’intercettare le preferenze dei consumatori nel mondo, di rendere i loro prodotti unici e non riproducibili». Non è un caso, dunque, che il “green Italy” venda di più anche all’estero: un terzo delle aziende che investono nella sostenibilità ambientale vanta una presenza sui mercati esteri (34,8%) quasi doppia rispetto a chi la ignora (18,6%). Fra i settori produttivi è la manifattura a guidare la svolta: il 28% delle imprese investono nel “verde” a fronte del 22% nel terziario. Oltre alla chimica e all’energia, spiccano la meccanica, i mezzi di trasporto, l’elettronica, la strumentazione di precisione, la lavorazione dei minerali non metalliferi. E ancora il conciario, il cartario, la ceramica, il legno e l’arredo. Senza dimenticare l’agricoltura: l’Italia è l’ottavo paese al mondo per superficie bio e il secondo in Ue.


OPERE SOFT
Un tessuto produttivo che trarrebbe vantaggio dalla crescita di nuove infrastrutture a basso impatto, come la banda larga, piuttosto che dalle vecchie e impattanti grandi opere. Il Ponte sullo Stretto e le autostrade nella pianura padana succhieranno dalle casse dello Stato oltre 12 miliardi di euro. «Il governo dovrebbe invece adottare una strategia di investimenti verso i nuovi poli che includono il concetto di limite nelle loro produzioni» suggerisce Aldo Bonomi,  sociologo e direttore dell’istituto di ricerca Aster. E la conferma che questa sia la via del futuro arriva anche dall’Isfol, l’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori secondo il quale a un anno dal conseguimento del titolo di studio il 43% dei laureati delle triennali ambientali ha trovato un lavoro, dopo tre anni la percentuale sale al 53,4%. Positivo anche il dato sulla tipologia contrattuale ottenuta: più della metà degli occupati ha un lavoro dipendente regolare e l’inquadramento professionale raggiunto è in linea con la formazione conseguita. Parliamo di esperti energetici, economici finanziari in campo energetico ambientale, per la qualificazione delle imprese edili, consulenti per i materiali a basso impatto, tecnici per la programmazione e la pianificazione dei processi produttivi agricoli a filiera corta.

DECRETI ALL’ORIZZONTE
Eppure il nostro paese aspetta ancora misure convincenti che puntino definitivamente sull’economia verde, abbandonando per sempre incentivi a produzioni e lobby che inquinano e consumano i nostri beni comuni. Aspettando le prossime mosse dell’esecutivo di Monti. «Un primo banco di prova per il governo, una cartina di tornasole per giudicare se ha capito che bisogna puntare sui settori innovativi e verdi, sarà l’attuazione dei decreti attuativi sulle fonti rinnovabili – osserva il senatore Francesco Ferrante – I decreti dovevano essere emanati entro il 29 settembre 2010 ma Berlusconi non l’ha fatto. Vedremo se Monti lo farà, e bene». Intanto la crisi morde e il paese aspetta una ricetta per salvarsi.

pubblicato su Nuova Ecologia, gennaio 2012

La road map di Legambiente verso la green economy

Ridurre gli sprechi, prevenire il dissesto. E varare la fiscalità verde.
Il piano dell’associazione per uscire dalla crisi





VOCI IN ATTIVO

- Patrimoniale una tantum sulle auto di grossa cilindrata immatricolate nel periodo 2006-2012. Esclusi i veicoli a trazione elettrica, a gpl,e metano e quelli per i disabili. Tale contributo può essere destinato al sostegno del trasporto pubblico locale.
1 miliardi e 992 milioni

- Revisione della fiscalità ordinaria sulle auto. Si propone di cambiare il criterio con cui si calcola la tassa di possesso degli autoveicoli (il bollo) adottando un incremento o un decremento in funzione delle emissioni di CO2, incrociando potenza e uso. Si prevede una fascia di esenzione fino a 100 gr CO2/Km. Per mantenere inalterato il gettito del bollo basta aumentare il costo del carburante di 16 eurocent al litro, eliminando così la tassa di possesso.
500 milioni
- Cave. Sabbia e ghiaia estratte portano nelle casse delle Regioni circa 36 milioni di euro. Con canoni di concessione al 20% dei prezzi di vendita dei materiali scavati si arriverebbe a 267.695.719 euro.
231 milioni e 500.000

- Concessioni acque minerali. Istituire un canone di 10 euro a metro cubo imbottigliato per tutto il territorio nazionale.
115 milioni
- Rifiuti. Aumentare il costo dello smaltimento in discarica. Fissando la nuova ecotassa a 50 euro per tonnellata di rifiuti smaltiti, agli attuali tassi di smaltimento, nelle casse delle Regioni finirebbero 750 milioni di euro a fronte degli attuali 40.
710 milioni
- Unificare la tassazione delle rendite finanziarie al 23%, una soglia allineata con i grandi paesi europei e che non presenta rischi di fuga di capitali.
2 miliardi
- Sostegno ai treni dei pendolari attraverso l’introduzione di un’accisa di 3 centesimi per litro di benzina e gasolio per coprire i tagli subiti dal trasporto locale. Per alleviare gli automobilisti dai rincari il governo può agire sugli accordi di cartello fra petrolieri e distributori di benzina.
1 miliardo e 200 milioni

STOP AGLI SPRECHI
- Ritardo sugli obiettivi di Kyoto. Sulla base delle stime delle emissioni climalteranti nei primi tre anni di conteggio si è accumulato un debito di quasi 800 milioni di euro.
800 milioni
- Strade e ponti inutili e incentivi all’autotrasporto. La legge obiettivo 2002-2010 finanzia al 70% strade e autostrade e solo al 14 e 16% ferrovie e metropolitane. Rinunciare al Ponte sullo Stretto consentirebbe un risparmio di sei miliardi di euro. Le autostrade padane costano oltre 6 miliardi.
12 miliardi e 730 milioni
- Incentivi all’autotrasporto. Il trasporto su gomma gode di sconti su pedaggi, sgravi fiscali e detrazioni varie. 400 milioni
- Spese militari. Legambiente propone, fra le altre misure di contrazione della spesa bellica, di non firmare il contratto per la produzione di 131 cacciabombardieri.
791,5 milioni

TUTELA DEI BENI COMUNI

- Combattere il rischio idrogeologico, abbattere i costi dell’emergenza. Le recenti manovre hanno azzerato anche il miliardo messo a disposizione nel 2009 per la difesa del suolo. L’assenza di interventi di prevenzione costa morti e distruzioni molto care.

- Spreco di suolo. In Italia si perdono tra i 350 e i 500 Km2 di superficie naturale, rurale o agricola. Vanno ripensati i meccanismi che incentivano i Comuni a rilasciare concessioni edilizie.

- Spreco di legalità e civiltà, con ecomafie e abusivismo che procurano danno  all’economia sana. Quella sommersa vale il 17% della ricchezza prodotta in Italia. Il giro d’affari delle ecomafie nel 2010 è stato di 20 miliardi di euro. La proposta: mai più condoni, abbattere gli immobili abusivi, inserire nel codice penale i reati ambientali, contrastare evasione fiscale ed ecomafie.

NUOVE ENTRATE
6.748.500.000 Euro

SPRECHI DA TAGLIARE

14.691.500.000 Euro

TOTALE

21.440.000.000 Euro

LINK: Legambiente