26 maggio 2011

Reggio Calabria, l’operazione Urbanistica svela le illegalità nel settore edilizio

Funzionari comunali al centro di un sistema che vendeva e falsificava concessioni, in un territorio fin troppo cementificato e a rischio idrogeologico

Modificavano i permessi scaduti e utilizzavano concessioni edilizie false. Questo si evince dalle intercettazioni degli investigatori che ieri hanno concluso con nove arresti l’operazione Urbanistica (leggi la notizia su Strill.it), condotta dalla squadra mobile di Reggio Calabria. I nove hanno usato la loro posizione all’interno del settore Urbanistica del Comune calabrese per mettere in piedi un sistema di potere fatto di violazioni e falsificazioni.

Ecco dunque che si materializzano, forse, alcuni dei responsabili di una crescita urbanistica assurda, oltre che illegale, che mette in pericolo la vita stessa dei cittadini. Basta vedere cosa succede in città ogni volta che piove un po’ più del normale. Un’alluvione, come quella che ho vissuto il 13 ottobre 2010 quando ero sullo Stretto proprio per scrivere un articolo sul dissesto idrogeologico. Il rischio idrogeologico è cresciuto con la cementificazione selvaggia. Oggi, per porre rimedio servono soldi, ma soprattutto una classe dirigente onesta, prima che all’altezza della situazione.

24 maggio 2011

Acqua, riprendiamocela con due sì

di Francesco Loiacono

Votando sì il 12 e 13 giugno gli italiani potranno bloccare gli effetti del decreto Ronchi ed evitare i danni della cattiva gestione del servizio idrico integrato. Come quelli prodotti a Latina / Leggi lo speciale in PDF


Privatizzare il servizio idrico non garantisce la qualità del servizio. Anzi, l’acqua è un bene comune che va preservato da ogni possibile speculazione. Sono le ragioni per cui Legambiente invita a mobilitarsi verso il referendum del prossimo 12 e 13 giugno votando «sì» e chiedendo ad amici, parenti, vicini di casa e chi più ne ha più ne metta di fare lo stesso. Solo così sarà possibile bloccare la corsa alla privatizzazione della gestione del servizio idrico, conseguenza della Legge Ronchi del 2009, che rende obbligatorio dal gennaio 2012 il ricorso alla gara per il suo affidamento. Come dire: fra meno di un anno tutti i servizi idrici in Italia, se il referendum non dovesse passare, potrebbe essere privatizzati. E l’esperienza che vivono ormai da quasi un decennio gli abitanti della provincia di Latina dimostra a quali conseguenze si potrebbe andare incontro.

EFFETTI IN BOLLETTA
Qui infatti, nella cittadina del Lazio, dal 2003 il servizio idrico integrato è passato nelle mani di Acqualatina, un soggetto pubblico-privato (sulla carta le quote sono divise al 51 e 49%) che riserva però alla parte privata della società i ruoli chiave. I primi effetti gli utenti dell’Ato 4, l’ambito territoriale ottimale, li hanno visti immediatamente in bolletta: «La prima fattura del 2003 presentava aumenti del 175% per le utenze domestiche e del 320% per quelle commerciali » spiega Maurizio Consalvi, del Comitato difesa acqua pubblica di Aprilia. Non solo: fino al 2002 il noleggio del contatore costava 5.400 lire (quindi 2,2 euro), oggi invece è conteggiato come quota fissa e costa 12 centesimi al giorno, arrivando così a quasi 45 euro l’anno. «In più – prosegue – per riscuotere le fatture la società ricorre alle cartelle esattoriali: le sentenze favorevoli ai cittadini che hanno presentato ricorso non mancano, un giudice di pace ha anche scritto in calce alla sentenza che la società è in malafede e dimostra un comportamento vessatorio verso gli utenti».

Un cittadino prende l'acqua potabile
all'autobotte di Aprilia
foto di Francesco Loiacono
BICCHIERI CONTAMINATI
A rendere ancora più paradossale la situazione è arrivato anche lo scandalo dell’arsenico. L’acqua che esce dai rubinetti di nove dei 38 comuni dell’Ato 4 presenta concentrazioni superiori a quanto prevede la Direttiva europea sulla qualità dell’acqua recepita in Italia già nel 2002. E da allora è stata comunque erogata grazie a due deroghe. I dirigenti di Acqualatina dal canto loro si difendono: «Sin dal 2004 il gestore ha stabilito un piano d’interventi specifico, presentato alla Regione Lazio, che prevede l’abbattimento dei valori di arsenico sotto i 10 microgrammi per litro entro il 2012», ha fatto sapere l’amministratore Jean Michel Romano, annunciando l’abbattimento dell’arsenico nei comuni di Campoleone e Sermoneta. «Ma come si può presentare un piano di rientro al 2012 quando l’ultima deroga scadeva nel 2009?» si domanda ironicamente Alessandro Loreti, presidente del circolo locale di Legambiente che ci accompagna insieme a Roberto Lessi, altro esponente dell’associazione. Che rincara la dose: «L’emergenza è scoppiata nell’ottobre scorso, quando l’Ue ha bocciato un’ulteriore deroga per nove comuni, il gestore ha risposto con una campagna di disinformazione alla quale purtroppo si sono prestati anche gli enti pubblici. Basti dire che nei mesi scorsi è stato diffuso un manifesto, sottoscritto dai comuni di Cori, Sermoneta, Latina e Cisterna, dall’Asl Latina, dall’Ato4, dall’Arpa Lazio e da Acqualatina, sul quale c’era scritto: “La Commissione Europea ha espresso parere favorevole all’utilizzo di acque contenenti un limite massimo di arsenico pari a 20 microgrammi per litro fino al 2012”. Ma in realtà questo permesso è stato concesso soltanto a marzo».

AUTOBOTTI IN STRADA
Intanto ai cittadini restano i disagi. Ad Aprilia per avere l’acqua potabile sono costretti ad andare a prenderla,  con taniche, bidoni e bottiglie, alle autobotti che Acqualatina ha parcheggiato in alcuni angoli della città. «Oggi è il primo giorno che vengo a prendere l’acqua qui», racconta Emiliano davanti all’autobotte di viale Europa su cui è affisso il cartello “Acqualatina spa. Servizio idrico sostitutivo”. «Chissà fino a quando saremo costretti a vivere in questa maniera» si domanda amaramente. Gli risponde un altro cittadino di Aprilia mentre spilla l’acqua dall’autobotte: «Fino a quando non diranno che l’acqua è buona cambiando i valori di arsenico consentiti». La scena fa riflettere: una decina di persone, nel giro di mezz’ora, si avvicinano al rubinetto e riempiono le taniche. Neanche fossimo in tempo di guerra. Qualcuno si avvicina addirittura per chiedere a che cosa serva l’autobotte, a dimostrazione che l’informazione ai cittadini non è stata certamente esaustiva. E il quadro si fa sempre più chiaro: «La teoria che un privato possa gestire efficacemente il servizio qui è smentita – riprende Consalvi – La società aveva promesso nei primi sei anni investimenti per 146 milioni di euro, ma poi ha fatto un mutuo perché dicevano che avevano problemi di liquidità. Oggi ha un bilancio in attivo ma dice che con gli utili ripiana i vecchi debiti. Così presentano un piano di investimenti che doveva essere di sei anni salvo prolungarlo ad otto con lo stesso importo. È tutto un prorogare gli investimenti, intanto il tempo passa e i problemi restano».

CONSORZI A SECCO
Ma i paradossi non finiscono qui perché alla fine è il servizio pubblico a venire in soccorso di quello privato. Basti pensare ai pagamenti dei canoni ai consorzi di bonifica, incaricati di gestire le reti idriche e i canali. «In bolletta Acqualatina carica anche questi costi ma non ha mai pagato i canoni ai consorzi – racconta ancora Alessandro Loreti – Così è intervenuta la conferenza dei sindaci decidendo di cedere ad Acqualatina il canone annuale degli impianti di proprietà dei comuni, che tra l’altro nei primi anni la società non ha pagato per problemi di bilancio, perché potesse pagare i consorzi». Per non parlare della contrazione di un mutuo con la Depfa Bank: «Nel 2009 i comuni dell’Ato hanno approvato un finanziamento di 114,5 milioni di euro – continua Loreti – impegnando il 25% dlle quote della società con questo istituto che lavora soprattutto con i cosiddetti strumenti derivati, quelli che hanno provocato la crisi finanziaria degli ultimi anni. Il rischio, insomma, rimane innanzitutto sulle spalle degli enti locali». A quasi dieci anni dall’affidamento del servizio ai privati, insomma, l’esperimento di Latina si rivela a dir poco fallimentare. Altrove i problemi non sono mancati. Per esempio la società Nuove Acque di Arezzo è appena finita nel mirino del ministero dell’Ambiente poiché alcuni servizi, tipo le volture e le manutenzioni ai contatori, secondo la Commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, sono a carico degli utenti due volte: per chi ne usufruisce direttamente ma anche per tutti gli altri tramite la tariffa ordinaria, portando così gli aretini a versare nel 2011 circa 11,5 milioni di euro in più e garantendo al gestore «ricavi extra dell’ordine di 160 milioni di euro fino al 2023». Inoltre le tariffe, come dimostra un dossier di Cittadinanza attiva, nelle mani dei privati sono sempre aumentate (condizionando un aumento su scala nazionale del 64% durante l’ultimo decennio) ma gli investimenti e il miglioramento del servizio rimangono l’eccezione. A conferma che prima di cogliere in questa strategia la panacea di tutti i mali ci passa: votare sì al referendum significa arginare le derive della privatizzazione selvaggia e richiamare gli enti locali ad una gestione corretta ed efficiente del servizio.

Pubblicato su Nuova Ecologia di maggio 2011