Italia in piena. Non è colpa della pioggia


di Francesco Loiacono

Acqua che zampilla dai tombini, acqua che fuoriesce dall’asfalto e dai marciapiedi ormai in frantumi, acqua che fa scoppiare la rete idrica e fognaria trasformando le strade in violente cascate marroni. Circolazione interrotta, treni sospesi, servizi in tilt con il lungomare più bello d’Italia che diventa una piscina. E tanto fango. Questa è Reggio Calabria ogni volta che piove con un minimo d’insistenza. Per capire perché l’Italia è afflitta da continue, e purtroppo sempre più spesso tragiche, alluvioni bisogna scendere lungo lo Stivale e andare nella città dello Stretto, vero caso studio di un paese in piena. La Nuova Ecologia l’ha fatto, il 13 ottobre scorso, vivendo un giorno di ordinaria alluvione. Già, perché non è un caso se l’acqua esonda da tutte le parti. L’equilibrio idrogeologico del territorio è stato rotto, violentato. La natura piegata a degradato scenario di squallide operazioni urbanistiche, spesso abusive. Con il risultato che quando piove l’acqua non trova più i suoi canali naturali ma scivola su cemento e asfalto, o addirittura sotto di essi, prendendo velocità e spazzando ogni cosa incontri.

«Il 3 settembre scorso l’acqua è uscita dallo Scaccioti, ha attraversato e distrutto un fantastico bergamotteto e ha raggiunto la strada nazionale tra Gallico Marina e Archi», racconta Peppe Passalia, avvocato che, stanco delle esondazioni delle fiumare, insieme ad altri cittadini ha costituito un comitato per promuovere una tutela legale, una sorta di class action, contro le istituzioni, colpevoli di mancata gestione del territorio. «Qui un tempo, come ricordano gli anziani, l’argine della fiumara era alto quasi quattro metri, oggi è inesistente – riprende Passalia – Solo per miracolo l’ultima volta che è piovuto tanto l’acqua non è caduta sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria che scorre proprio sotto la fiumara, tracimando pochi metri oltre la strada». Proprio così, l’autostrada A3, già famosa per i suoi interminabili cantieri, potrebbe essere invasa da acqua, fango, e detriti. Ma non solo: anche lavatrici, lavandini, carcasse d’auto e tutto ciò che si trova nelle numerose discariche, abusive, della zona. Altro che sassi dal cavalcavia.

RES NULLIUS
Nel territorio reggino scorrono circa una ventina fra torrenti e fiumare. Perlopiù invasi o coperti dal cemento. Nel torrente Annunziata è in costruzione, con finanziamenti regionali, un edificio di 400 alloggi per studenti dell’università. Sulla fiumara Valanidi si sta realizzando il mercato ortofrutticolo. La fiumara Petrara che attraversa il sottosuolo della città è interamente tombata e, in mancanza di interventi di pulizia, quando piove diventa un condotto esplosivo proprio sotto il centro della città. Così il torrente Caserta. Ma sono forse le periferie le zone più a rischio: i vecchi paesi assorbiti dal mito della Grande Reggio che nel 1927 ha accorpato quattordici comuni e che oggi sono i quartieri e i sobborghi più a rischio. Quelli in cui si è costruito di più, abusivamente e peggio. «Una città con le colline alle spalle va protetta e salvaguardata. Invece c’è stato un vero e proprio “sacco delle fiumare” e nell’alveo dei fiumi sono state costruite infrastrutture, edifici anche pubblici e discariche. Tutto in barba alla sicurezza dei cittadini», denuncia Nuccio Barillà del direttivo di Legambiente che da consigliere comunale di Reggio nel 2009 ha coordinato una commissione d’indagine sui Lavori pubblici e l’Urbanistica (vedi La Nuova Ecologia dicembre 2009). Un lavoro terminato con la stesura di una relazione che fa luce sull’altra città, quella delle volumetrie realizzate fuori dal piano urbanistico. La città dell’abusivismo che nasce nel rapporto fra ‘ndrangheta e professionisti, fra i pezzi di burocrazia corrotta, della politica e del mondo degli affari. Una città in cui ci sono costruzioni realizzate con il parere positivo dell’ufficio comunale in aree sottoposte a vincolo. Per non parlare della denuncia alla commissione dell’Ordine dei geologi per l’utilizzo di “perizie geologiche redatte in precedenza per altri siti”. A un anno e mezzo dalla conclusione dei lavori della commissione quasi nulla è cambiato: sono stati sì trasferiti alcuni dipendenti del settore urbanistica, ma non i dirigenti. E dell’inchiesta aperta dalla magistratura dopo i lavori della commissione non si hanno notizie.

COLPEVOLE FANTASMA
All’indomani del temporale del 13 ottobre che ha riversato 146 millimetri di acqua, allagato i binari ferroviari di accesso alla stazione cittadina, causando il blocco della circolazione dei treni per oltre 12 ore, a palazzo San Giorgio, sede del Comune, va in scena il valzer delle responsabilità. Per tutti il colpevole è l’abusivismo, il responsabile senza nome e cognome. L’architetto Marcello Cammera è dirigente del settore Progettazione ed esecuzione lavori pubblici del Comune. Uno che conosce i fatti. Anche per lui l’amministrazione ha la sola colpa di non aver gestito la crescita della città. «Una crescita esponenziale che doveva essere accompagnata dal Comune, ma questo se l’avesse potuto fare – confessa il dirigente comunale – Spesso non è stata fatta urbanizzazione primaria e secondaria: non si costruivano reti idriche e fognarie. Oggi siamo in ritardo, il sistema di raccolta e smaltimento delle acque meteoriche spesso non esiste o se esiste è insufficiente. In alcuni casi è addirittura un sistema misto dove l’acqua piovana si convoglia nelle reti fognarie». Cammera è dirigente nel settore da dieci anni, eppure anche per lui i problemi sembrano piovuti dal cielo ieri. Ma oggi pare che ci sia finalmente la voglia di intervenire. «Abbiamo fatto un progetto di raccolta delle acque piovane, un sistema che convogli l’acqua nelle fiumare e nei depuratori – aggiunge Cammera – Poi dobbiamo fare una mappatura del sistema fognario, perché manca. A Reggio non c’è mai stata». E la conoscenza della rete fognaria è affidata alla memoria degli addetti.

LAVORI DA INTERPRETARE
Per fare tutto questo, «subito» come dice l’architetto Cammera, e senza mettere ancora mani alle bistrattate fiumare, servono dieci milioni di euro. I soldi ci sono, stanno nel salvadanaio del decreto Reggio, una legge speciale che ha stanziato 600 miliardi di vecchie lire per il risanamento della città. Soldi bloccati da mesi: aspettano che il ministero delle Infrastrutture nomini un nuovo delegato che firmi gli atti da quando il sindaco Giuseppe Scopelliti si è dimesso dopo le elezioni che lo hanno proclamato presidente della Regione. Ente che, tra le righe, insieme alla Provincia, dovrebbe intervenire per mettere in sicurezza le fiumare, che nascono in Aspromonte. Intanto, mentre i tombini saltano e le strade sono distrutte, serve un “decreto interpretativo” che stabilisca se il contratto di servizio fra il Comune e la società compartecipata Multiservizi che fa la manutenzione delle infrastrutture cittadine prevede o meno anche quella straordinaria. «Sono anni che proponiamo al Comune una programmazione di interventi straordinari. Ma l’amministrazione non l’ha mai approvato», si difende Paolo Vazzana, l’amministratore della Multiservizi, i cui operai, mese sì mese no, reclamano lo stipendio arretrato sotto al Municipio. «Risolveremo la questione in pochi giorni», assicura l’assessore ai Lavori pubblici Paolo Gatto. Ma per le direttive europee contro i monopoli la manutenzione ordinaria e straordinaria non possono essere appaltate a una sola ditta. Non se ne esce più.

EMERGENZA CONTINUA
Reggio Calabria ha già avuto le sue vittime da dissesto idrogeologico. Senza andar indietro fino alla grande alluvione del 1953 che fece cento morti, solo pochi anni fa un uomo perse la vita a causa di una piena del torrente Gallico. E proprio sul Gallico e sullo Scaccioti dal 3 al 5 novembre arriverà Operazione fiumi 2010, la campagna di Legambiente contro il rischio idrogeologico. «Già negli anni scorsi i nostri volontari hanno ripulito il Catona e il Valanidi – racconta Nuccio Barillà – Adesso torniamo a puntare gli occhi su Reggio perché crediamo che queste fiumare, che oggi sembrano delle ferite sul territorio reggino, possano essere invece una grande occasione. Se riqualificate e gestite bene, possono diventare parchi fluviali e percorsi verdi che dal mare portano alla montagna». Intanto continua a piovere. Il 20 ottobre scorso la Regione Calabria ha chiesto al governo la dichiarazione dello stato di emergenza e il 21 ottobre s’è svolto il primo Consiglio comunale, proprio su proposta del consigliere Barillà, sul dissesto idrogeologico. La consapevolezza comincia a farsi largo. Ma ogni nube sullo Stretto ricorda che il tempo stringe.

Leggi il testo completo dell'inchiesta su Nuova Ecologia

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