13 giugno 2011

Il mare va curato con la gestione integrata

Intervista a Maurizio Spoto, direttore della riserva di Miramare  (Ts)

Grandi opere, inquinamento, dighe e ripascimenti. Ma non solo. Anche le abitudini alimentari impoveriscono il nostro mare. Bisogna favorire la pesca tradizionale, invogliare al consumo di specie dimenticate e gestire il mare con piani integrati. Maurizio Spoto, direttore dell’area marina protetta di Miramare (Ts) traccia il futuro: passando dai parchi alle aree di gestione speciale.


È vero che stiamo impoverendo l’Adriatico?
Sì, le riserve ittiche diminuiscono, varie specie sono sottoposte non solo a uno stress di prelievo ma anche a molti disturbi di tipo antropico, come il turismo e la cementificazione sulle coste.

Allora non sono solo le grandi opere a uccidere pesci e molluschi...
È ovvio che un’opera come il Mose porta con sè una trasformazione della Laguna interna e dell’ambiente marino esterno. Non ho elementi per dire in che misura, ma se cambiano le correnti e le sedimentazioni cambiano gli ecosistemi. Le coste si trasformano anche per le esigenze del turismo. Per avere grandi spiagge si fanno dighe foranee e ripascimenti, che cambiano le correnti sotto costa generando una diversa distribuzione delle uova e del fitoplancton. Per questo è preferibile un turismo che va alla ricerca di coste naturali, anche così si contribuisce a salvaguardare l’ambiente marino. L’urbanizzazione del golfo di Trieste ha provocato l’estinzione della Posidonia oceanica, molto importante perché forma foreste marine al cui interno si riproducono pesci e molluschi.

Quali sono le specie in via d’estinzione?
Le specie pescate intensamente: il tonno, la razza, il pesce spada, la cernia. Ma anche la sogliola, la seppia, il nasello... Insomma, tutte quelle che mangiamo solitamente perché ogni nostro consumo distrugge una parte di mare. Se tutti chiedono il tonno, il tonno finisce. Dovremmo invece preferire specie sostenibili nella riproduzione, come per esempio cefali e pesce azzurro, o di acquacoltura biologica. E favorire la pesca tradizionale, facendo tornare a questa attività chi oggi fa pesca industriale.

Con quali strumenti?
Da vent’anni esistono le aree marine protette, veri laboratori di gestione. Alcune fanno ottime cose, come quella pugliese di Torre Guaceto che ha messo in piedi una vera green economy: si fa balneazione sostenibile e i pescatori gestiscono oculatamente le risorse partecipando anche all’offerta turistica estiva. La politica dovrebbe estendere e replicare questi laboratori di gestione.

Un percorso già indicato dall’Europa.
Già, dobbiamo andare oltre le aree marine protette e creare delle aree a gestione speciale. Come chiede il Fondo europeo della pesca, che propone ai consorzi di pesca di costituire del gruppi di azione costiera, i Gac, che mettono insieme i pescatori, il mondo del diportismo, del turismo, i maricoltori. Tutti insieme preparano, in accordo con le aree marine, un piano di gestione integrato del mare. Il sogno di ogni direttore di area marina protetta è proprio questo: eliminare i confini della riserva, togliere le boe e gestire un ampio territorio con le regole del parco, grazie alle attività del Gac.
(Francesco Loiacono)

Pubblicato su Nuova Ecologia, giugno 2011

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