1 dicembre 2010

Swaziland, campagne contro l'aids

comunità rurale di Ematjeni, Lubombo
di Francesco Loiacono

Il piccolo paese africano ha la più alta incidenza di Hiv al mondo, il 40% della popolazione. Cospe e Anlaids lavorano per fronteggiare l’epidemia nelle aree rurali. Oggi è la giornata mondiale per la lotta all’aids


Un triste primato affligge lo Swaziland. Lo Stato più piccolo dell'Africa australe, abitato da un solo milione di abitanti, è il paese con la più alta incidenza di Hiv al mondo. L'epidemia colpisce infatti il 40% della popolazione. Lo Swaziland fa parte del famoso gruppo dei Big Five: i paesi che hanno un'incidenza del virus sopra al 20%, in questo gruppo ci sono anche Sud Africa, Lesotho, Mozambico e Zimbabwe. In Swaziland nel 1992 l'incidenza della malattia era del 3,9% e la speranza di vita di 65 anni, nel 2005 crollata a 39 e oggi, se non si inverte la tendenza si viaggia verso un'aspettativa di 30 anni. Tanto che il re Mswati III ha dichiarato, già dal 1999, l'Hiv/aids disastro nazionale. Una nazione piegata, dove le aree rurali, se la passano peggio dei centri urbani. Qui vive il 76% della popolazione, e si concentra solo il 20% del reddito.

«La gente vive condizioni di estrema vulnerabilità e l'accesso alle informazioni delle campagne nazionali di prevenzione e dei servizi è difficile per via delle distanze, delle scarse possibilità economiche e anche dalla difficoltà di capirne l'importanza», spiega Francesco Croce, infettivologo dell'Ospedale Sacco di Milano, da anni concentrato sulla lotta all'Hiv in questo angolo d'Africa. «Nelle comunità rurali la struttura della società è stata fortemente minata dall'epidemia - continua il ricercatore - sono morte e stanno morendo le persone della fascia produttiva, i genitori, quelli che portano a casa reddito, coloro che coltivano i campi e anche gli insegnanti. Se non si interviene in fretta in modo efficace si avrà una comunità fatta di vecchi e bambini orfani». Dal 2004 i farmaci per la terapia antiretrovirale sono distribuiti negli ospedali, nelle cliniche e nei centri sanitari. Ma sono di difficile accesso per le comunità rurali, i settori più vulnerabili della popolazione. Per questo l'ong Cospe ha promosso con l'Anlaids Lombardia un programma di lotta integrato all'Hiv nella regione del Lubombo. Al centro del lavoro il supporto, dato dai medici dell'ospedale Sacco di Milano, al personale del Good Shepherd Hospital di Siteki.

«Con il progetto - riprende l'infettivologo - mettiamo in campo un approccio multisettoriale: dal punto di vista medico diamo ai pazienti il trattamento, a questo però aggiungiamo l'accesso al cibo, aiutiamo gli orfani e cerchiamo di far nascere attività che creino reddito». Il progetto del Cospe e dell'Anlaids sta creando un network di personale la cui figura chiave è l'Htc councelor (help provider-initiated testing and counceling), che favorisce il primo test del paziente. Poi c'è l'expert client, una persona sieropositiva particolarmente motivata che aiuta il personale medico a seguire il paziente. Il network si compone anche di gruppi di supporto e motivatori, generalmente donne delle aree rurali. Perché il paziente spesso è reticente. Non segue bene il trattamento, per paura che si scopra che ha la malattia, e venga così espulso dalla famiglia o dalla comunità. «Nel 2002 quando sono venuto la prima volta in Swaziland - ricorda Francesco Croce - si faceva fatica a parlare dell'Hiv, ma devo dire che sono stati fatti anche dei bei progressi, perché da noi, in Italia, ci abbiamo messo 30 anni a parlare di Hiv». Un buon motivo, dunque, per andare avanti.

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