Leggi l'articolo in PDF
La Svizzera ha deciso di non prolungare la vita delle sue centrali nucleari e di cambiare sistema energetico. Sembra lontano il 2034, anno in cui sarà spenta l’ultima delle cinque centrali, quella di Leibstad, che adesso producono il 40% dell’elettricità. Ma Berna comincia a progettare un nuovo mix energetico, senza l’atomo e con più rinnovabili. E a cambiare radicalmente strada, visto che solo nel 2007 il Consiglio federale elvetico approvava una strategia energetica basata sulla costruzione di tre nuove centrali nucleari. Una decisione sulla quale i cittadini si sarebbero espressi con un referendum in programma nel 2013. Dopo il disastro alla centrale giapponese di Fukushima il governo svizzero ha pensato bene di anticipare i tempi e di non aspettare la probabile bocciatura del referendum. Guidato dal ministro dell’Ambiente, Doris Leuthard, l’esecutivo ha così deciso di disattivare gli impianti a fine vita. La decisione ha l’approvazione del Consiglio nazionale, la loro Camera dei deputati. Nel secondo ramo del Parlamento, il Consiglio degli Stati, si discute invece su una possibile riapertura al nucleare di quarta generazione.
Roger Nordmann, consigliere nazionale |
«Stiamo per dire addio al nucleare e benvenute alle rinnovabili, entreremo presto nel mercato europeo dell’energia – annuncia Lukas Gutzwiller dell’ufficio federale dell’Energia – Stiamo introducendo delle misure di efficienza che ci porteranno a una diminuzione dei consumi energetici del 20-30%. Nei servizi, ad esempio, possiamo risparmiare facilmente il 30% di elettricità. Le attuali prospettive mostrano che un abbandono graduale è possibile a livello tecnico e sostenibile sul piano economico. I prezzi per l’energia elettrica sono destinati a salire, e questo – conclude Gutzwiller – attenuerà le ripercussioni del nostro abbandono dell’atomo». L’ufficio federale stima che la riconversione energetica e le misure per la contrazione della domanda impegneranno risorse tra lo 0,4 e lo 0,7% del Pil.
Uno sforzo che non fa paura. «La rinuncia al nucleare è digeribile, e a medio periodo sarà conveniente – afferma Bruno Oberle, direttore dell’ufficio federale dell’Ambiente – L’uscita dall’atomo è un’etichetta, in realtà vogliamo fare una svolta verso una nuova fase di produzione energetica, è giusto quindi impegnare queste risorse. D’altronde gli investimenti nella gestione ambientale ammontano a circa 10 miliardi di franchi l’anno, il 2% del Pil». Il punto di forza di questa svolta energetica sarà la ricerca: quella ambientale costa allo Stato mezzo miliardo di franchi all’anno, su un totale di 5 miliardi. «Vuol dire – riprende il direttore Oberle – che il 10% è investito in ricerca ambientale: punte d’eccellenza sono i centri di ricerca sul clima di Berna e Zurigo, senza contare che l’Ipcc ha sede a Ginevra. Il nostro slogan è: la politica ambientale è gestione delle risorse naturali, quindi è gestione economica». L’uscita dal nucleare, insomma, è una questione di conti. Conviene e si fa.
PS La camera alta del parlamento svizzero ha dato l'ok allo stop alla costruzione di nuove centrali nucleari introducendo misure che incoraggiano le rinnovabili e la continuazione della ricerca sul nucleare.
Pubblicato su Nuova Ecologia
Nessun commento:
Posta un commento