11 gennaio 2011

Ilva: “Taranto non è la città più inquinata d’Italia”

La targa dei cittadini del quartiere Tamburi a Taranto

L’azienda siderurgica presenta il bilancio Ambiente e sicurezza a porte chiuse. Esclude dalla sala i giornalisti. E utilizza a modo suo i dati di Legambiente / di Francesco Loiacono

Un ponte di veleni, sospet­ti e omissioni ancora oggi collega l’acciaieria Ilva a Taranto ai suoi cittadini, ai suoi lavoratori, ai suoi malati. Nonostante il siderurgico più grande d’Europa si sia dotato delle migliori tecnologie dispo­nibili per abbattere le emissioni di diossina, come chiede la legge regionale voluta da Vendola. La diossina che fuoriesce dai camini dell’industria è diminuita, ma i tecnici dell’Arpa possono compiere rilevamenti solo “per appuntamen­to”, mancano ancora i campiona­menti di continuo.
«Perché una centrale a turbo­gas, che inquina relativamente poco, deve avere quattro centraline per i monitoraggi e questo non av­viene per il gigante dell’Ilva?», la­menta il direttore dell’Arpa, Gior­gio Assennato, alla presentazione del secondo rapporto aziendale Ambiente e sicurezza. Un’occasione in cui i vertici dell’acciaieria han­no rivendicato con forza, davanti al presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, ai rappresentanti delle istituzioni locali e con la be­nedizione dell’arcivescovo di Ta­ranto, gli sforzi fatti per inquinare meno. «Se l’Ilva cambia, Taranto cresce. È arrivato il momento di riconoscere che l’Ilva è cambiata» ha detto Fabio Riva, figlio del pre­sidente del gruppo Emilio Riva, in una sala conferenze dell’Ilva inter­detta ai giornalisti. Solo i direttori delle testate hanno potuto assi­stere alla presentazione, i cronisti hanno seguito i lavori confinati in una saletta.

Fuori dai cancelli, sotto a un ponteggio su cui campeggiano ope­rai ai quali non è stato rinnovato il contratto, c’erano i legambientini in tute gialle con lo striscione “Ci siamo rotti i polmoni. Liberiamo l’aria dal benzo(a)pirene”. Dentro, nella mole di dati presenti nel rap­porto, molti di origine aziendale, l’Ilva ne cita uno in modo tenden­zioso, svelando le crepe dietro la facciata: «Taranto non è la città più inquinata d’Italia – afferma l’ingegner Adolfo Buffo, della dire­zione qualità, ecologia e sicurezza dell’Ilva – Lo dicono i dati di Le­gambiente che in una sua classifica sull’inquinamento da Pm10 colloca Taranto al 62esimo posto in Ita­lia». Una citazione mal posta. «Li­mitarsi a citare il dato della nostra campagna Pm10 ti tengo d’occhio è un modo furbo per occultare la si­tuazione ambientale del capoluogo jonico – replica Lunetta Franco, presidente del circolo di Legambiente Taranto – Perché omet­tono la classifica stilata in primavera da Le­gambiente in occasione dell’approvazione della direttiva europea sulle emissioni delle grandi in­dustrie?». Secondo questa classifica, l’Ilva detiene tutti i “primati” negati­vi dell’Ines, l’Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti.
«Sarebbe utile che dall’azienda non arri­vassero più segnali con­traddittori – commenta il respon­sabile scientifico di Legambiente, Stefano Ciafani – se da un lato si fanno interventi sugli impianti, dall’altro non si contribuisce alla realizzazione di una rete esterna di monitoraggio del benzo(a)pirene. Un sistema controllato da un ente terzo come l’Arpa è l’unica garan­zia per i cittadini». L’azienda, inve­ce, usufruisce anche di un favore governativo: il dlgs 155/2010, ap­provato con un blitz ferragostano, che consente di emettere fino al 2012 benzo(a)pirene oltre i limiti di legge. Così, mentre il comitato Taranto Futura spinge per ottene­re un referendum per la chiusura di tutto lo stabilimento o di alcune parti, e mentre i Verdi lanciano la prima class action contro i danni da inquinamento, l’azienda invia nelle case dei tarantini 30mila co­pie della rivista Il Ponte: «Per crea­re un dialogo con i lavoratori, i loro cari e più in generale con la città», scrive nell’editoriale il presidente Emilio Riva. Un dialogo che parte, ma con poca chiarezza.

Pubblicato su Nuova Ecologia, gennaio 2011: IL PDF

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